13 novembre 2023
Dietro a programmi come ChatGPT c’è un esercito di lavoratori fantasma che operano senza tutele, con compensi bassissimi e al limite dello sfruttamento
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Oskarina dorme con il computer acceso, il volume basso per non svegliare il resto della famiglia, quando alle tre di notte le arriva una notifica. Lei invece si sveglia, perché quel suono significa che c’è un nuovo compito disponibile sulla piattaforma digitale per cui lavora. Sono passati ormai sette anni da quando la crisi economica venezuelana l’ha costretta a diventare una dei milioni di etichettatori di dati per l’intelligenza artificiale. In silenzio, quasi al buio e senza lasciare la sua camera, apre il portatile e si mette all’opera. «Non mi obbliga nessuno, potrei continuare a dormire» racconta, «ma è una questione di necessità: non posso perdere nessuna occasione».
Al mondo ci sono milioni di lavoratori come Oskarina. Operano senza tutele, spesso al limite dello sfruttamento, e per la maggior parte in paesi a basso e medio reddito, secondo i dati ONU. Il loro compito è etichettare, annotare o trascrivere dati - immagini, video o file audio - che servono ad addestrare programmi come ChatGPT e renderli "intelligenti". «Anche chi svolge questa occupazione a tempo pieno è solo un collaboratore», spiega Julian Posada, ricercatore dell’università di Yale «non ha alcuna tutela in termini di malattia, ferie, orari di lavoro e interruzione dell’impiego».
Oskarina Fuentes, 33 anni, trascorre fino a 18 ore al giorno davanti al computer. A volte deve cliccare sui vari elementi di un’immagine per etichettarli, distinguendo ad esempio tra pedoni, alberi e macchine. Altre volte corregge le etichette già assegnate dall’algoritmo, o ancora seleziona la migliore tra due opzioni generate dal programma. In cambio riceve tra i 0,05 ed i 0,50 dollari, a seconda del compito. Così riesce ad arrivare al salario minimo colombiano (circa 280 dollari al mese). Ma il valore globale del mercato dei dati è ben diverso: la società di consulenza GVR lo ha valutato a 2,2 miliardi di dollari nel 2022 e stima che potrebbe raggiungere 13,7 miliardi entro il 2030.
Nata e cresciuta in Venezuela, Oskarina ha cominciato a lavorare per Appen nel 2016, quando studiava all’università. Dopo la laurea ha ottenuto quello che in condizioni normali sarebbe stato un buon lavoro: ingegnere per la compagnia petrolifera statale. Ma, a causa della crisi e dell’inflazione quasi al 300%, lo stipendio era a malapena sufficiente per sopravvivere. Così nel 2019 si è trasferita con la sua famiglia in Colombia, dove ha continuato ad annotare dati a tempo pieno. «Se fossi rimasta in Venezuela sarei morta» racconta, «sono diabetica, e lì l’insulina e le visite mediche costano troppo».
Quando parliamo è preoccupata, non la pagano da diverse settimane. Pochi giorni dopo scrive che il pagamento è arrivato, e condivide la foto di una conversazione su Telegram con altri lavoratori. Sono tutti sollevati, ma anche frustrati con Appen per i messaggi automatici ricevuti in risposta alle loro domande. Non sono né i primi né gli unici a lamentarsi: Posada riporta testimonianze di compensi più bassi rispetto a quanto pattuito, in ritardo o addirittura annullati, oltre alla disattivazione del profilo in seguito a richieste di spiegazioni. L'università di Oxford ha valutato gli standard di lavoro di 15 piattaforme digitali. Nessuna ha ottenuto più di 5 su 10, dove 10 non rappresenta l'eccellenza, ma solo condizioni accettabili. «É vero e proprio schiavismo, si sono approfittati della crisi venezuelana», afferma Ricardo Huggines, ex collaboratore di Remotasks. «Quando mi sono lamentato hanno disattivato il mio profilo, senza pagarmi gli ultimi lavori svolti».
Anche se le piattaforme sono più o meno le stesse, i compiti disponibili e la retribuzione non sono uguali in tutto il mondo. Kevin Martinelli, 27 anni e collaboratore Appen in Italia, racconta di lavori che richiedono competenze specifiche, come le traduzioni, e di compensi che vanno da 5 dollari per compiti più semplici fino a 100 dollari l'ora per progetti impegnativi, che possono durare qualche mese. Per lui si tratta di un impiego secondario, un modo per arrotondare e acquisire conoscenze che potrebbero rivelarsi utili per trovare un altro lavoro. «Non potrei vivere facendo solo questo» afferma. Come invece sono costrette a fare migliaia di persone. In Kenya, ad esempio, molti dei collaboratori della piattaforma Sama, dopo aver visionato contenuti violenti o pornografici per ore e giorni di fila riportano sintomi da stress post traumatico; in un’inchiesta del Time hanno definito il loro lavoro (selezionare contenuti per ChatGPT) come una tortura mentale, ma non possono lasciarlo perché non hanno alternative.
Al di là del paese in cui operano, alcune esperienze accomunano i collaboratori di queste piattaforme. Molte delle cose che riporta Sonia, che ha 37 anni e trascrive file audio per Appen in Italia, sono le stesse che racconta Oskarina. Entrambe apprezzano la flessibilità del lavoro da casa, ma chiedono che il compenso sia accordato in base al tempo trascorso per ciascun compito e che nuovi progetti vengano assegnati in modo automatico se si è svolto un buon lavoro. Tutti i lavoratori intervistati, infatti, si lamentano della scarsità dei compiti disponibili e del fatto che scompaiono velocemente dopo la pubblicazione. Ma se per Sonia e Kevin questo significa che non si può fare affidamento sulla piattaforma come fonte di reddito stabile, per Oskarina si converte nell’esigenza di trascorrere ore davanti al computer, aspettando un nuovo compito. Come Maria, Roberto e i loro tre figli, che si danno il cambio al portatile giorno e notte per Remotasks.
Per evitare che lo sfruttamento continui, secondo Posada, sono necessarie leggi nazionali che obblighino i clienti di queste piattaforme a rispettare certi standard. É quello che vorrebbe anche Oskarina, che a differenza di altri non desidera cambiare lavoro: chiede solo condizioni migliori, e che la sua esperienza professionale le venga riconosciuta. Per questo, dopo anni trascorsi da lavoratrice anonima, vuole condividere la sua storia e il suo nome.